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XXIV Festival Internazionale
di Musica e Cultura Celtica di Trieste
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Tutti i concerti dal 21 al 30 giugno, saranno trasmessi in diretta streaming su Facebook e su

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LA BIRRA NELL'ANTICHITA'
di Cristiano Brandolini

partner del Triskell con ASD Insubria Antiqua

Nel celebre film “Robin Hood. Il principe dei ladri” interpretato da Kavin Costner, frate Tac spiega ai bambini della Foresta di Sherwood che “... il grano ci è stato dato da nostro Signore per produrre... la birra!”
La maggior parte delle persone, quando parlano di birra pensano ad un prodotto tutto sommato recente, importato nell’economia alimentare attuale dai tedeschi o comunque da popoli nord europei, ma non è così.
La birra infatti è annoverata tra le più antiche bevande alcoliche che l’uomo ha prodotto. Innanzitutto due parole sull’etimologia del nome: la parola birra deriva dal latino bibere (bere), e la radice della parola spagnola cerveza deriva da Ceres, la dea greca dell’agricoltura. In celtico la birra era detta brito o briton da qui il nome proprio di persona Britomaro forse legato appunto al mestiere di produrre birra.
Le origini della birra risalgono a circa 13.000 anni fa, quando l’uomo passò da nomade a stanziale e iniziò a coltivare cereali come il frumento. Le prime testimonianze sulla preparazione di una bevanda simile alla birra risa
lgono ai Sumeri e quindi all’incirca a 6.000 anni fa come testimonierebbe il bassorilievo che rappresenta orzo e pane cotto e poi inumidito nell’acqua a formare una poltiglia e infine una bevanda con la proprietà di “fare stare bene chi la beveva”. La produzione viene affinata dai Babilonesi, poi esportata in Egitto, e gli stessi egiziani divennero grandi produttori di birra migliorando la tecnica e il gusto del prodotto. L’importanza della birra nell’antico Egitto fu tale che spinse gli scriba a coniare un nuovo geroglifico che indicava il “mastro birraio”.
La birra si può ricavare dalla fermentazione di qualsiasi cereale. Oggi si predilige l’orzo, ma in passato si usava un po’ di tutto, dal farro all’avena. Ancora oggi nelle Fiandre si produce una birra, la Tripel Karmeliet, secondo un’autentica ricetta del 1679 originaria dell’antico Monastero Carmelitano di Dendermonde, che prevedeva l’uso di tre cereali: orzo, ma anche frumento e avena. Molte prove di fermentazione condotte in birreria hanno confermato che questa particolare combinazione tradizionale di cereali rimane ancora la migliore.
Nel nord Italia la birra era ben conosciuta ancor prima dell’arrivo del vino etrusco e romano. Già i Celti Insubri Golasecchiani, in età protostorica, producevano birra e in alcuni casi già con piccole dosi di luppolo.
La più antica testimonianza di produzione in Europa è sul suolo germanico e risale all’800 a.C. È costituita da un’anfora e dai resti di un vero e proprio birrificio, rinvenuti vicino a Kulmbach nel nord-est della Baviera. I ritrovamenti relativi alla birra dei Celti nel nord Italia, sono pochi ma significativi. Uno su tutti è quello che riguarda la necropoli golasecchiana della metà del VI secolo a.C. scavata a Pombia (No) nel 1995. Qui una tomba miracolosamente intatta ha restituito agli archeologi, oltre al classico corredo un bicchiere globulare, il cui fondo conservava un deposito rossastro simile a sabbia finissima. Si trattava dei resti liofilizzati di una bevanda fermentata a base di cereali, quasi certamente birra rossa, ricavata da orzo e altri cereali e infiorescenze di luppolo assieme ad altre erbe aromatiche.
L’utilizzo del luppolo come usuale ingrediente nella produzione di birra era finora testimoniato solo a partire dagli scritti di Hildegarde von Bingen, ossia nell'XI secolo. La birra degli antichi era molto diversa da quella a cui siamo abituati noi oggi, e forse non riusciremmo nemmeno a berla. Era acidula, affumicata e molto pastosa in bocca, completamente piatta, priva di schiuma e servita a temperatura ambiente.
Nel medio evo le tecniche di produzione compirono passi da gigante e la bevanda iniziò progressivamente a divenire sempre più simile a quella che noi oggi beviamo. Dalla preistoria fino al Medioevo il processo di birrificazione era ad appannaggio delle sole donne. Poi questa prerogativa svanì man mano che la birra cominciò ad esser prodotta nei monasteri (belgi e olandesi in primis) e divenne quindi un’attività prettamente maschile.
I monaci migliorarono il gusto ed i valori nutritivi delle loro birre arrivando a un consumo pro capite giornaliero, consentito dalle loro regole, di 5 litri. Le eccedenze erano smerciate fuori e così anche la birra iniziò a ridiffondersi fuori dalle mura dei conventi. Non passò molto e i regnanti, intuendo i grossi guadagni che si potevano fare sul commercio della birra, cercarono di sottrarre l'esclusiva ai monaci per imporre le tasse. Nel 1516 Guglielmo IV duca di Baviera promulgò la Legge Germanica di Purezza della Birra, stabilendo che per la produzione fossero impiegati esclusivamente orzo, luppolo ed acqua pura.
Con le innovazioni tecnologiche apportate dallo sviluppo industriale nell’800, si ebbe un definitivo cambiamento nella produzione: il motore a vapore permise di ottenere maltature a basse temperature e quindi la nascita delle birre chiare tipo pils, e la refrigerazione artificiale, che consentì la consumazione di birra fresca anche in estate. Successivamente si iniziò a lavorare anche sulla carbonatazione e quindi sulla frizzantezza del prodotto finale e sull’utilizzo dei lieviti, fin’ora sconosciuti, infatti la fermentazione spontanea del mosto era vista come un qualcosa di magico, di divino, sostanzialmente inspiegabile. Oggi si producono ancora birre con fermentazioni spontanee, ma la maggior parte delle birre che beviamo sono prodotte con lieviti accuratamente selezionati.
Beh, penso che ora sia proprio il caso di andare a farsi una birra. E come è usanza in Bretagna, facciamo cozzare le nostre pinte esclamando “Yec’hed mat” alla salute"
!

IDROMELE. NETTARE DEGLI DEI O POZIONE MAGICA DI ASTERIX?
di Cristiano Brandolini

partner del Triskell con ASD Insubria Antiqua


Chiudete i vostri occhi e con la mente tornate a tempi antichissimi, immaginate di stare in un luogo sacro, circondato da quercie, dove i druidi sono intenti ad officiare riti in onore delle divinità.
Banchettare con cibo delizioso annaffiato da grandissime bevute di idromele versato copiosamente in immensi corni potori: ecco, è con questa scena che intendo farvi iniziare questo breve viaggio nella storia di questa intrigante e antichissima bevanda chiamata “idromele”.
L'idromele o idromiele, dal greco hỳdor (acqua) e méli (miele), è la più antica bevanda alcolica prodotta dall'uomo in Europa, e tra le più utilizzate nel mondo antico, prima che la diffusione della vite, nel bacino del Mediterraneo, introducesse l'uso del vino.
In epoca preistorica si diffuse ampiamente in tutte le pianure l'Europa settentrionale e orientale, anche nelle zone climatiche fredde.
Il miele sommato all'acqua sono gli elementi base dell'idromele.
L'ape, sacro animale e messaggero celeste che trasforma il sole in miele, e la sacralità dell'acqua quale linfa vitale che scorre nelle vene della madre terra, rendono l'idromele sacro presso i Celti, come essenza del divino nell'unione fra cielo e terra. Nella mitologia indoeuropea, l'idromele è la bevanda tipica dell'aldilà, nel mondo celtico come in quello germanico, ed è simbolo di immortalità.
Nell'Europa celtica (IX-I sec. a.C.) esso era bevuto dai Druidi e dalle tribù nelle quattro grandi cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni (Imbolc, Beltane, Lugnasad, Samonios).
L'idromele era una bevanda così comune tra gli scandinavi e nella cultura celtica da essere annoverato in numerosi racconti e poemi mitologici, come ad esempio nella mitologia norrena, dove anche se non perfettamente credibile in quanto di tradizione orale, l'idromele è un elemento centrale.
E da dove prende il nome la famosa “luna di miele” dei novelli sposini? Dai Vichinghi e dal fatto che per loro era uso comune durante il mese lunare successivo al matrimonio, bere appunto idromele per far si che il futuro nascituro diventasse forte e sano ma soprattutto maschio!
Molti sono i ritrovamenti archeologici riferiti a questa bevanda, in molte tombe principesche dell'Europa del VI-IV secolo a.C. sono stati trovati recipienti con resti d'idromele quale riserva del defunto per il Sidhe, l'aldilà celtico, come ad esempio nella tomba del principe di Hochdorf, in Germania nel Baden-Wurttemberg (VI sec. a.C.), dove tra gli oggetti straordinari del corredo funerario sono venuti alla luce 17 corni potori, e un calderone in bronzo, della capienza di 500 litri, riempito al momento della deposizione nella tomba, per tre quarti d'idromele il quale ha lasciato un notevole deposito sul fondo che si è conservato fino ai giorni nostri. La scelta di riporre tale bevanda nelle ricchissime sepolture principesche hallstattiane non è un caso, dimostra quale fosse il valore simbolico di immortalità dell'idromele, la sua raffinatezza e preziosità.
L'idromele viene descritto dagli antichi come una bevanda spumeggiante, potremmo dire che era il loro superalcolico; non a caso non è mai stato “bevanda da pasto”, ma piuttosto la bevanda rituale con cui aspergere i sacrifici prima del fuoco purificatore o, grazie al suo alto grado alcolico, il tramite per ottenere l'ebbrezza alcolica per potersi avvicinare al divino fino ad incontrarlo durante i riti religiosi; ma era anche componente della panacea, la bevanda che curava tutti i mali sia del corpo che dello spirito.
Ma quando l'uomo iniziò a produrre l'idromele? e con che procedimento?
Che l'idromele sia una bevanda molto più antica della birra o del vino lo si può ipotizzare pensando al fatto che per fare il vino l'uomo primitivo ha dovuto innanzitutto da nomade fermarsi e divenire stanziale, imparare a coltivare i cereali o la vite e solo dopo casualmente scoprire che dai pani, o dal succo di quel grappolo poteva ricavare una bevanda inebriante; per l'idromele invece non ha dovuto imparare ad allevare le api, ma era già raccoglitore di miele da sciami selvatici da tempo immemore e non ha dovuto costruirsi il recipiente di terracotta per la fermentazione, perché aveva già a disposizione il primitivo ma funzionale otre di cuoio, il contenitore per eccellenza delle popolazioni nomadi.
Molto semplice anche il processo produttivo, infatti tutti gli apicoltori sanno che per togliere i residui di miele dai favi strizzati il sistema più semplice è immergerli in acqua: il miele si scioglie istantaneamente. Una volta fatta questa operazione, la miscela di acqua e miele inizia a fermentare da subito, naturalmente, ad opera dei lieviti presenti nel miele stesso ed è già bevibile.
Al giorno d'oggi molti apicoltori francesi si divertono a vendere l'idromele come la bevanda di Asterix. Nel fumetto come ben sappiamo non si parla di idromele, ma esso viene paragonato dagli apicoltori odierni alla “pozione magica”. Effettivamente, riflettendoci si possono trovare analogie tra la pozione magica e l'idromele: entrambe vengono fatte bollire, in entrambe vengono messi a bollire sostanze aromatizzanti, erbe e spezie nell'idromele, e ironicamente un sacco di altre cose nella pozione magica, ma soprattutto sia la pozione magica sia l'idromele con il suo rilevante contenuto alcolico danno il coraggio di affrontare il nemico in battaglia.
Ritornato a noi grazie ai numerosi festival celtici e alla riscoperta della cultura anglosassone e scandinava, l'idromele con diversi nomi e con diverse modalità, ha ripreso a scandire i passaggi stagionali dei solstizi e degli equinozi, anche qui nel nostro paese ed ha seguito gli anglosassoni in America e Canada, dando origine al maggiore concorso di idromeli artigianali, il “Mazer Cup”, che si svolge negli Stati Uniti.
Molti oggi sono i paesi che producono idromele, possiamo trovare questa bevanda chiamata con nomi diversi da zona a zona, o semplicemente per la differente speziatura che hanno.
Ad esempio in Bretagna è chiamato Chouchen o Mez, in Inghilterra e Irlanda ve ne sono diversi, quello tradizionale è chiamato Mead, nei paesi germanici e scandinavi è chiamato Med o Met.
Nettare degli dei o pozione magica che sia, l'idromele è e rimane una bevanda che da sempre accompagna l'uomo nel suo cammino terreno.


Alzate i corni potori e buon brindisi a tutti!

Go! 2025 Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della Cultura 2025

Il 2025 sarà l’anno dell’importantissimo evento “Go! 2025 Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della cultura 2025”, occasione unica di promozione e di sviluppo del tessuto creativo e culturale del Friuli Venezia Giulia, della competitività e attrattività del territorio regionale con il coinvolgimento anche dei diversi sistemi produttivi locali e le conseguenti positive ricadute non solo socio-culturali, ma anche di natura economica, nonché di valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale della nostra Regione.

Nella XXIV Edizione del Triskell Festival e più nei dettagli in Triskell Itinerante, è confermata Festival Mondiale del Folklore Etnos. Questo, come percorso di avvicinamento a GO! 2025 in un'ottica di sinergia condivisa aspettando il 2025.

Vi aspettiamo!

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